Le atrocità raccontate in ogni dettaglio senza neanche verificare che siano effettivamente accadute, le simulazioni, le riprese aeree, le riprese notturne. Ormai quello che importa della guerra è la spettacolarizzazione per eliminarne la realtà, per rendere la guerra un fatto necessario per la nostra linea temporale e non un’opzione da evitare.
Ce ne siamo accorti quando si è riproposto il conflitto russo-ucraino e ora può solo che peggiorare. La tempesta perfetta: Palestina, Gaza, Hamas, Israele, Usa, Iran, Cisgiordania, Hezbollah e tutto il resto.
Non possiamo certo metterci a parlare di chi ha ragione, torto o di come andranno le cose. C’è sicuramente qualcunx più preparato che lo sta facendo in questo momento. Possiamo però guardarci intorno e fare luce su come questa guerra ci venga raccontata, e perchè.
Nell’epoca, la nostra, in cui i media mainstream hanno perso il monopolio della comunicazione e il controllo del racconto del mondo trovandosi a essere una voce tra tante, tutto è sia nelle nostre mani che fuori dalla nostra volontà. Un giornale nel 2023 ha la stessa credibilità del video amatoriale girato da un passante con il telefono, con la differenza che il video amatoriale in scarsa qualità gira molto più velocemente, arriva ai nostri occhi senza nessuna verifica nè autenticità. Poi finisce sul giornale di turno, e non viene comunque verificato. È questione di fretta e di giornalisti sottopagati (e per questo più ricattabili), ma anche di faziosità. Se vuoi far passare un messaggio non è necessario condividere notizie vere nè tantomeno le fonti, possono anche essere smentite ma non è più un problema quando sono di dominio pubblico. Nessuna notizia è ritrattabile fino in fondo.
Insomma, con la rottura del monopolio, non abbiamo assistito a una vera democratizzazione delle immagini come potevamo aspettarci. L’informazione non può essere democratica finché i mezzi e le piattaforme per la diffusione sono di natura privata e non pubblica. Anche queste newsletter è su uno spazio privato, ma almeno possiamo dire Palestina e Israele senza per questo essere censuratx, Meta invece ha mostrato una politica più aggressiva e faziosa su questo argomento, palesandosi se mai ce ne fosse bisogno come il braccio digitalmente armato della propaganda a difesa dello status quo.
Polarizzazione
Gli ultimi avvenimenti tra Israele e Palestina hanno mostrato un distaccamento enorme tra persone comuni e istituzioni. Se i maxi-schermi delle piazze italiane, le facciate dei comuni e le pagine social di Sindaci e Presidenti delle Regioni mostrano fieramente la bandiera Israeliana come simbolo di democrazia, le piazze si riempiono di persone a difesa del popolo palestinese, ormai rappresentato come culla del terrorismo. Una polarizzazione nettissima, un dibattito isterico guidato da notizie confuse e prese in fretta e furia dal caotico ecosistema internet. Ogni video è buono per screditare a livello internazionale Hamas mostrando la brutalità con cui conduce il conflitto. Poco importa se nessun bambino è stato decapitato e non è stata confermata nessuna strage al festival musicale, tutto è buono per indirizzare anche in modo grottesco un’opinione pubblica in realtà restia a convincersi. Forse, in grande scala, l’obiettivo non è neanche far cambiare idea alla persona comune, ma giustificare a livello istituzionale e governativo ogni rappresaglia e atto vendicativo di Israele. Togliere acqua, corrente elettrica, bombardare le abitazioni e usare fosforo bianco non è un crimine di guerra se le vittime vengono deumanizzate. Poco importa di quello che pensiamo noi.
Rappresentazione
Pluralità confusa delle informazioni, ruolo dei media di polarizzare l’opinione pubblica e feticismo verso le immagini del conflitto più crude hanno trasformato la guerra e il suo racconto in una fatto culturale, un prodotto di intrattenimento e l’esperienza più simile a un videogioco che possiamo avere. Con questa ipermediaticitá la guerra si fonda con la sua rappresentazione e i grafici con il numero delle vittime non servono più a far passare l’idea di una guerra come una merda, ma per far capire chi è più forte o crudele. Che non è necessariamente un male, in un contesto come questo, non schierarsi, non dare la ragione e il torto a chi se li merita è da ignavi e irrispettoso.
Onestamente non so dove volessi arrivare con questa roba.
Questa era Contrattacco
Una newsletter che può essere qualsiasi cosa e diventarne altrettante. Uno sfogo, uno spazio per raccontare, ragionare, pensare, blaterare insensatezze seguendo il filo rosso del conflitto nei vari contesti della società.
Perché contrattacco? Perché resistere non è più abbastanza. C’è bisogno di provare a far resistere anche la controparte sociale, spostandosi in avanti come un blocco unico più velocemente possibile andando a riempire ogni spazio lasciato libero, farlo nostro e rifiatare.
Fondamentalmente scriveremo di quello che ci passa per la testa, spesso in modo eccessivamente polemico, retorico e con molti typo.
Chi sono?
Sono Andrea Tedone, faccio fotografie e straparlo. Nella newsletter parlo al “noi” perché non penso di aver diritto di mettere bocca su ogni cosa, non tutti i pensieri sono miei e, anche se mai lo fossero, diventano i nostri pensieri non appena li esprimo. Scarico di responsabilità forse. Le fotografie invece sono mie e guai a chi le tocca.
Mi puoi trovare su Instagram o, se vuoi parlare di qualcosa, andrea.tedonege@gmail.com. Ho anche un negozio su Etsy ( Foto Corsare) dove è possibile acquistare stampe, shopper e calendario 2024.